Gli Ordini Mendicanti entrarono in Bologna dall’inizio del secondo decennio del 1200: i Francescani nel 1211, i Domenicani 1218, i Serviti 1261, gli Agostiniani nel 1265/67). Fondarono i loro conventi ed edificarono le loro chiese rinnovando lo stile degli edifici ecclesiali della città, che fino ad allora vedeva eminentemente la presenza dei benedettini e della architettura loro propria, di cui purtroppo poche tracce restano. Per quanto riguarda gli edifici dei Domenicani e degli Agostiniani mutamenti successivi hanno conservato poche tracce dei primi edifici, pur lasciandoci grandi chiese ricche e suggestive.
L’Ordine dei Servi di Maria, anche detti Serviti, in latino Ordo Servorum Beatae Virginis Mariae (sigla O.S.M.), è un ordine mendicante della Chiesa cattolica. Venne fondato a Firenze, probabilmente nel 1233, da un gruppo di sette persone, poi conosciuto come i Sette Santi Fondatori: Buonagiunta da Firenze (Manetti), Buonfiglio da Firenze (Monaldi), Amadio da Firenze (Amidei), Manetto da Firenze (dell’Antella), Uguccione da Firenze (Uguccioni), Sostegno da Firenze (Sostegni) e Alessio Falconieri, il più noto dei sette santi. L’ultimo dei Sette Santi fondatori morì nel 1310. Il più famoso dei Padri Generali dell’Ordine fu il quinto, San Filippo Benizi (1267–1285).
I Padri Serviti giunsero a Bologna alla metà del sec. XIII: nel 1261 eressero una piccola chiesa dedicata a Santa Lucia nell’attuale via Castiglione, che oggi conosciamo in forme settecentesche perché, dopo essere passata nel 1546 ai Gesuiti, è divenuta dopo varie vicende l’Aula Magna dell’Università di Bologna.
Da qui i Serviti passarono, nel 1265 a Borgo San Petronio, oggi via San Petronio Vecchio: qui edificarono una piccola chiesa dedicata a Santa Maria del Borgo di San Petronio, festeggiata dal 1287 il giorno della Natività di Maria.
Nel 1345 Taddeo Pepoli, di fatto Signore di Bologna, fece ai Serviti una cospicua donazione, fra cui una piccola chiesa di una comunità monache dedicata a Sant’Agostino (circa dove oggi è la sagrestia dell’attuale basilica) dove si trovava la tavola lignea Madonna, Bambino e angeli di Cimabue, che fu ritenuta di autore ignoto fino al 1885: oggi viene attribuita a Cimabue e aiuti, ed è ritenuta di un periodo tra la Maestà del Louvre (1280 circa), gli affreschi di Assisi (1288–1292 circa) e la Maestà di Santa Trinita (1290–1300 circa). Oggetto di grande devozione, si ottennero grazie e diede impulso alla costruzione del nuovo complesso dei Padri Serviti. Costituisce a tutt’oggi un grande tesoro della Basilica dei Servi di Bologna.
La prima chiesa in questo luogo fu completata nel 1383, ma già dal 1386 iniziarono gli ampliamenti, quando divenne Generale dell’Ordine padre Andrea Manfredi da Faenza.
La chiesa come oggi la vediamo presenta una pianta a croce, è liturgicamente orientata, presenta le pareti laterali sostenute da archi rampanti, all’interno le cappelle sono numerose e le pareti assai affrescate; presenta un deambulatorio con ricche cappelle radiali, un ampio coro e una pala marmorea di particolare interesse, presentando due diversi programmi iconografici rivolti l’uno ai fedeli della navata l’altro ai religiosi del coro.
La costruzione iniziò sotto gli auspici del vescovo, nell’ottobre del 1346, senza particolari ambizioni architettoniche, ed ebbe nuovo impulso quando Taddeo Pepoli concesse altro terreno all’Ordine dei Servi di Maria. Nel 1386 fu dunque eletto padre generale dell’Ordine Andrea Manfredi da Faenza, che si intendeva di architettura e in seguito fu anche assistente dell’architetto Antonio di Vincenzo per la fabbrica di San Petronio: egli decise l’ampliamento del primitivo edificio affidandolo allo stesso Antonio di Vincenzo, di cui l’insieme porta chiaramente l’impronta stilistica.
La Basilica presenta una facciata con un oculo di sapore romanico, per un rosone mai completato, in laterizio, e le tracce di uno spiovente continuo, prima dell’innalzamento della facciata e il completamento della copertura delle campate nel 1504. L’impianto dell’edificio è a tre navate, con volte a crociera ad archi acuti con costoloni in cotto, e l’alternanza di colonne circolari e pilastri ottagonali che si trova anche nella basilica di San Petronio. Le cappelle laterali, sottolineate all’esterno dagli archi rampanti, sono poco profonde e ricchissime di opere d’arte, come pure ricchissimi sono i dipinti murari, tanto che ogni indicazione è certo approssimata per difetto. E non mancano opere di autori contemporanei, quali una piccola Pietà in bronzo di Luigi E. Mattei.
Nella chiesa sono presenti numerosi soggetti legati alla devozione mariana dei Servi di Maria, alla storia stessa dell’Ordine e memorie, come il culto di santa Luca, legate alla storia della presenza dei Padri Serviti in Bologna, e all’interno presenta numerosissime opere d’arte con una rilevante presenza degli artisti che sono glorie bolognesi, nonché dei materiali stessi caratteristici della nostra arte, quali la terracotta e la cartapesta.
Nel marzo del 1954 la chiesa è stata insignita del titolo di basilica minore da Papa Pio XII.
Nella prima cappella di destra, vediamo una memoria dei Padri Serviti: La Vergine dona l’abito ai sette Santi Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, di Marcantonio Franceschini, 1727, sovrastata da un Eterno Padre del Guercino; ai lati la Presentazione al tempio di Giulio Morina del 1594 e San Francesco prega per le anime del purgatorio di Bernardino Baldi (†1612). Nella cappella successiva, ecco un tema mariano, l’Educazione della Vergine, opera di Gaetano Bonola, prima metà sec. XIX.
Nella terza cappella, si trova L’ultima Comunione di santa Giuliana Falconieri assistita dalle consorelle, opera di Ercole Graziani (1737): si tratta di una delle “Comunioni miracolose”. Zio paterno di Santa Giuliana Falconieri, religiosa dell’Ordine dei Servi di Maria, fu nipote fra Alessio Falconieri († 1310), uno dei Sette Santi Fondatori dell’Ordine. Minata dai digiuni e dalle penitenze, il 19 giugno 1341, ormai agonizzante, la santa non poteva ricevere l’Ostia, per timore che non riuscisse a deglutirla, e per questo la particola consacrata, le venne deposta su un corporale, steso sul suo petto, e tra lo stupore di tutti l’ostia svanì all’interno del suo corpo.
Nella quarta cappella si segnala Il Paradiso, cioè Cristo in gloria con una grande croce circondato da Santi, di Dionisio Calvaert, 1602; nel sottoquadro un suggestivo San Giuseppe col Bambino Gesù di Luigi Crespi. Vediamo poi un Crocifisso di Giov. Battista Bolognoni Seniore, 1665, e dopo Santa Teresa del Bambin Gesù di Bartolomeo Cesi, nello spazio fra le cappelle, lo Sposalizio mistico di santa Caterina di Lippo di Dalmasio, frammentato e incompleto, con una Maddonna deliziosamente bionda, appartenente alla prima chiesa; vicina è la tomba del Servo di Dio fra’ Venanzio M. Quadri (professo dell’Ordine dei Servi di Maria, nato nel 1916, morì giovanissimo a Roma, presso il Collegio Sant’Alessio Falconieri, il 6 agosto 1937, a causa di una malattia),che si distingue per l’accesa devozione attestata da un libro di raccolta di intenzioni e preghiere.
Troviamo poi una Trinità di Jacopo Alessandro Calvi, cui segue l’ingresso nella sacrestia, pure ricca di opere. Qui si vedono infatti tre Storie del Battista del Mastelletta (1620-23), e La Madonna del Santuario di Mondovì in gloria e santi di Alessandro Tiarini, San Carlo Borromeo e angeli di Guido Reni del 1613) e una Madonna col Bambino di Giovanni da Modena.
Importanti sono poi, sempre nella navata destra, la cappella di Santa Lucia (la sesta), omaggio alla prima sede dei Padri Serviti, particolarmente al centro della devozione il 13 dicembre, e quella di san Filippo Benizi, entrambi rappresentati in statue in cartapesta della Bottega dei Graziani di Faenza (Giovan Battista Ballanti Graziani -1762 –1835- figlio dell’incisore e plasticatore Giuseppe Ballanti, col fratello Francesco diede vita alla bottega “Ballanti Graziani”). San Filippo si identifica per la tiara papale ai suoi piedi, Filippo Benizi, o Benizzi (Firenze, 15 agosto 1233 – Todi, 23 agosto 1285), dell’Ordine dei Servi di Maria (OSM), ne divenne Superiore generale nel 1267. Nella Legenda beati Philippi, conosciuta come “Vulgata”, i paragrafi 15-16 narrano che in conseguenza di un prodigio di Filippo nel quale sanò un lebbroso, la sua fama giunse ai cardinali riuniti in conclave a Viterbo negli anni 1268-1271 e tutti furono concordi nell’indicarlo come pontefice. Tuttavia, come dice la “Vulgata”, Filippo per grande umiltà rimase nascosto per qualche tempo per sottrarsi ad ogni possibile richiesta: così, insieme al Crocifisso che sempre contemplò, la tiara papale o triregno è entrata nella sua iconografia.
Nell’ultima cappella prima del deambulatorio, un paliotto con una bella Pietà in cartapesta. del sec. XVIII.
Il coro è circondato da un deambulatorio, che come detto ci permette di collocare questa fra le chiese di pellegrinaggio; sul quale si aprono tre cappelle radiali; all’inizio del peribolo, sulle pareti si vedono tracce interessanti di affreschi di Vitale da Bologna, tra i quali la Comunione di santa Maria Egiziaca. Ecco poi un interessantissima opera in terracotta policroma, una ricco ancona che circonda con la Vergine col Bambino e i santi Lorenzo e Eustachio di Vincenzo Onofri del 1503, e importante polittico ad affresco con incorniciature in terracotta, di Lippo di Dalmasio. Ma soprattutto nell’ultima cappella radiale si trova la Vergine in Trono di Cimabue donata da Taddeo Pepoli, qui portata dalla prima chiesa realizzata dai Padri Serviti: un’opera davvero importante per quanto esprime ancora il rapporto con l’iconografia mariana della Chiesa indivisa. Sempre nel peribolo si trova la lastra tombale di fra Andrea Manfredi da Faenza.
Prima di lasciare il deambulatorio, ecco una bella Presentazione di Maria al tempio di Alessandro Tiarini.
All’altare maggiore, si trova un notevole tabernacolo marmoreo con Cristo risorto tra la Vergine e san Giovanni Battista, con i santi Pietro e Paolo, opera di Giovanni Angelo Montorsoli (1507-1563). Si caratterizza per un programma iconografico particolare e dedicato ai riguardanti: infatti, chi guarda l’altare marmoreo dalla navata, ammira un Cristo Risorto che regge la croce, fra la Vergine col Bambino e san Giovanni Battista, alla base le statue di Adamo (alla sinistra di chi guarda) e Mosè (Adamo si riconosce perché ha in mano una mela). Ai lati, sulle porte di ingresso al coro, i santi Pietro e Paolo. Sul retro dall’altare invece, una severa Crocifissione si offre allo sguardo dei frati, fra i santi Petronio e Domenico, ricordando la Chiesa di Bologna, e la necessità della sequela di Cristo fino alla sua imitazione nel dono totale di sé ai fratelli e al mondo da evangelizzare.
Nella navata sinistra, dall’ingresso, abbiamo un’altra memoria tipica dei servi di Maria, con una cappella dedicata all’ Addolorata , in una statua solenne, in cartapesta, di Angelo Piò; la seconda cappella vede un Noli me tangere di Francesco Albani (1644).La sequenza delle cappelle è interrotta dall’ingresso laterale, sovrastato dal Monumento a Ludovico Gozzadini (Giovanni Zacchi, 1540 circa). Segue una quarta cappella dedicata al Crocifisso, qui opera del Giambologna, realizzato -dice la tradizione- con le carte da gioco, offerte da quanti vi si dedicavano eccessivamente e macerate per ottenere la cartapesta.
Nella quinta cappella si trova un Sant’Andrea apostolo di Francesco Albani (1641), cui segue una Assunta di Pietro Faccini, e poi una Annunciazione di Innocenzo da Imola, mentre torna una memoria servita nel Cristo crocifisso che guarisce Pellegrino Laziosi , di Domenico Viani e Pier Francesco Cavazza.
Agli inizi del peribolo: Presentazione di Maria al tempio (Alessandro Tiarini); più avanti la Lastra tombale di Andrea da Faenza (m. 1396), fondatore della chiesa; resti di affreschi trecenteschi; Monumento a Gian Giacomo e Andrea Grati, capolavoro di Vincenzo Onofri. Nella prima cappella radiale, la summenzionata preziosa tavola Madonna col Bambino e angeli di Cimabue e, alla parete, Madonna col Bambino e i santi Cosma e Damiano di Lippo di Dalmasio.
Di particolare interesse, nei pilastri prossimi all’altare due alto rilievi del Montorsoli, con il Battesimo di Gesù e Gesù e la Samaritana; ugualmente notevole è la Madonna nell’attesa del parto, un affresco assai bello, di Vitale da Bologna (1309?- prima del 1361), pure parte della prima chiesa, dove un cane devoto simbolo di fedeltà, alza gli occhi alla Vergine.
Oggetto di grande devozione è una icona del sec. XIII, che si vuole donata dallo stesso san Filippo Benizi ai frati di questo convento: era tradizione che al canto della Salve i Servi inchinassero il capo e piegassero un ginocchio alle parole Salve Regina, fino al secondo salve. A questa icona la comunità si recava in processione, cantando appunto la Salve Regina, al termine dell’ultima Messa di ogni giorno.
Nella controfacciata, la Natività della Vergine del Tiarini.
Il portico e l’arioso quadriportico antistante la chiesa è a tutto sesto ed è sostenuto da eleganti colonnette in marmo veronese. Nelle lunette lungo il fianco della chiesa sono ancora parzialmente visibili gli affreschi Secenteschi con Storie della vita di san Filippo Benizzi, alle quali lavorarono Carlo Cignani e bottega, Giovanni Peruzzini, Giuseppe Maria Mitelli, il giovane Filippo Pasquali e altri. Dell’originale decorazione Quattrocentesca restano solo pochi frammenti, fra cui una Madonna inquadrata in un’edicola, sotto la quale si legge la scritta Regina Pacis, mentre le decorazioni successive – che interessarono le lunette – sono oggi ormai quasi completamente sbiadite, ad eccezione di quattro che furono staccate nel 1958, restaurate e oggi conservate nell’ex monastero.